Esempio di saggio breve svolto da un compagno

Saggio breve.    AMBITO            SOCIO - ECONOMICO

ARGOMENTO: Il lavoro tra sicurezza e produttività. DOCUMENTI

“Il lavoro nell'antichità non aveva il valore morale che gli è stato attribuito da venti secoli di cristianesimo e dalla nascita del movimento operaio. Il disprezzo per il lavoro manuale è apparso a molti come contropartita della schiavitù e, nel contempo, causa del ristagno delle tecniche. Dell'esistenza di questo disprezzo si potrebbero dare molteplici prove. Nella Politica Aristotele esalta il fatto che i cittadini abbiano tutto il tempo libero «per far nascere la virtù nella loro anima e perché possano adempiere i loro doveri civici». È la stessa nozione dell'otium cum dignitate che appare come l’ideale di vita degli scrittori romani alla fine della Repubblica e all'inizio dell'Impero. Ciò significa affermare anche che il lavoro è un ostacolo a questo tipo di vita e, quindi, una degradazione.” C. MOSSE, Il lavoro in Grecia e a Roma, trad. it. di F. Giani Cecchini, Firenze, 1973

“Nella produzione moderna il lavoro ha assunto un’importanza crescente tanto da essere considerato il soggetto e non più l’oggetto di qualsiasi attività produttiva. Per il codice civile (libro V, artt. 2060 e sgg.), che regola il lavoro nell’impresa come elemento soggettivo e dinamico, oltre che fattore primario della produzione, il lavoro consiste nella prestazione di energie lavorative effettuata, contro il corrispettivo di una retribuzione, da una persona fisica (lavoratore) a favore di un’altra persona fisica o giuridica (datore di lavoro). Il lavoro può concorrere alla produzione in modo subordinato o autonomo.” ENCICLOPEDIA UNIVERSALE, vol. 13°, a cura di G. Ceccuti-S. Calzini-R. Guizzetti, Ed. “IL SOLE 24 ORE”, Milano, 2006

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” (art. 1)

“ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” (art. 4) COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

“Dal Rapporto [ISFOL 2007] emerge una discrasia tra domanda e offerta di lavoro, soprattutto in quei segmenti della popolazione - donne e over 55 anni in primis – per i quali, anche in linea con gli obiettivi di Lisbona, si auspicherebbe un incremento dei tassi di attività. Sul fronte della qualità della crescita economica del Belpaese, il rapporto sottolinea come i lavori siano sempre più meno conformi alle aspettative degli individui, sia per la qualità del lavoro disponibile per i nuovi entrati sia per le prassi selettive. Le scarse prospettive di carriera rappresentano il principale fattore di scoraggiamento sul fronte lavorativo.…Fa riflettere il dato che quasi il 20% degli occupati ritenga di svolgere mansioni che utilizzano solo parzialmente le loro competenze professionali.…Tra le iniziative da intraprendere per contrastare le criticità del nostro mercato del lavoro, la ricetta dell’Isfol è migliorare la coerenza e l’adattabilità reciproca tra domanda e offerta di lavoro. Soprattutto sfruttando al meglio le potenzialità del sistema dei servizi per l’impiego. Inoltre, un funzionamento più fluido e trasparente del nostro mercato del lavoro passa anche attraverso la conciliazione fra competitività e meriti e l’equità dell’accesso alle opportunità. Ma su tutti, prioritario, è investire nella sicurezza del lavoro e nel contrasto del lavoro irregolare.” C. TUCCI, Rapporto Isfol: lavoro precario per 10 lavoratori su 100, 20 novembre 2007

“L’ambiente di lavoro, non rappresenta soltanto un’accezione più ristretta della nozione di ambiente, ma si caratterizza in termini assai diversi. Anche esso costituisce infatti l’oggetto di una normativa amministrativa e penale diretta a garantire la salute dei lavoratori addetti ad attività particolarmente rischiose, e che in taluni ordinamenti impone alle imprese l’adozione di sistemi generali di controlli preventivi;…ma sovente è dato riscontrare disposizioni che, attraverso la garanzia della salute a livello di rapporto individuale, attuano una vera e propria tutela dell’ambiente di lavoro come oggetto di una situazione soggettiva specifica del prestatore di lavoro, autonomamente tutelabile.…Così delineata, la tutela dell’ambiente di lavoro si prospetta, più che come tutela di un luogo (e cioè dell’ambiente in genere), come garanzia della salute (e quindi della persona) del lavoratore.” L. RICCA, La tutela dell’ambiente di lavoro nel quadro del sistema dei diritti sociali, in “Protezione dei diritti sociali e prevenzione degli incidenti sul lavoro nel quadro dei diritti dell’uomo lavoratore”, Ed. Giuffrè, Milano, 1988

 “Il fattore tecnologico è stato nelle ricerche più recenti piuttosto trascurato a vantaggio di una impostazione che accentuava l’influenza delle variabili psico-sociologiche nel complesso fenomeno dell’infortunio. Non si può negare però che un processo produttivo deve essere analizzato sotto l’aspetto tecnologico per poter rilevare di quanto il comportamento umano venga condizionato dalla velocità e dalle caratteristiche della produzione. L’infortunio nella sua apparente obiettività si è rilevato quale fenomeno la cui ricostruzione fotogenica non è riconducibile a un meccanismo casualistico.” C. DI NARO-M.NOVAGA-G.COLETTI-S.COLLI, Sicurezza e produttività: influenza delle variabili tecnologiche sul comportamento lavorativo, in “Securitas”, n° 7, anno 58, 1973

“Tutto il tempo perduto a causa degli infortuni rappresenta ore-lavoro e ore-macchina aggiunte al tempo richiesto per produrre una data quantità di beni o di servizi e, di conseguenza, riduce la produttività aziendale….A parte le perdite dirette di tempo, allorché il lavoro viene interrotto a causa di un infortunio, condizioni pericolose di lavoro comportano un rallentamento delle lavorazioni stesse, poiché gli operai devono stare in guardia e muoversi e lavorare con maggiore attenzione e prudenza di ciò che sarebbe invece necessario se non esistesse il pericolo stesso. Di particolare importanza, a questo riguardo, sono ad esempio, le trasmissioni dei motori, le cinghie di trasmissione e le parti mobili delle macchine nelle cui vicinanze gli operai sono costretti a lavorare oppure a passare.” A. BERRA-T. PRESTIPINO, Lo studio del lavoro e la psicologia della sicurezza lavorativa, Ed. Angeli., Milano 1983

“A tale principio del rischio professionale si ispirò, fin dall’inizio, la nostra legislazione per gli infortuni sul lavoro; la quale per la protezione del rischio stesso impose al datore d’opera l’obbligo dell’assicurazione. Con ciò, da un lato, si volle meglio garantire agli infortunati il pagamento delle indennità sostituendo l’Istituto assicuratore (ente finanziariamente più solido) all’imprenditore, soggetto all’insolvibilità; dall’altro lato si volle salvare l’imprenditore da oneri eccessivi rispetto alla sua potenzialità economica, pei casi di infortuni gravi, ripetuti o collettivi.” G. MIRALDI, Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Cedam, Padova, 1979.

Sicurezza e produttività del lavoro

Destinazione: Sito scolastico

Nel corso della storia l’idea di lavoro è cambiata notevolmente ed è stata rivalutata a livello morale.

Come ci ricorda C. Mosse ne “Il lavoro in Grecia e Roma (1973)”, nell’antichità il lavoro manuale era oggetto di disprezzo, perché rubava tempo ed attenzione alle vita civile, opinione espressa anche da Aristotele nella sua Poetica, e perchè allontanava dalle attività culturali, da quel “otium cum dignitate” che costituiva la massima aspirazione degli intellettuali: perciò veniva lasciato alla classe sociale più bassa, ovvero la schiavitù.

Col passare dei secoli, l’attività lavorativa ha assunto il valore di mezzo utile allo sviluppo della società, come è espresso ad esempio dall’etica del lavoro del periodo calvinista.                                                   

Oggigiorno svolgere una professione non solo assume una grande importanza nel processo produttivo, ma rappresenta anche lo strumento chiave per una propria realizzazione e motivo di progresso sociale.

Ma cosa si intende per “lavoro”? Secondo la definizione offerta dall’Enciclopedia Universale, pubblicata da “Il sole 24 ore” nel 2006, esso consiste in una prestazione di tempo, fatica ed energie, in cambio di una giusta ed equilibrata retribuzione.

Procurarsi un impiego costituisce inoltre un diritto per ogni cittadino. Gli articoli n. 1 e n. 4 della Costituzione sanciscono che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, il quale deve rispondere alle proprie aspirazioni, ma purtroppo le condizioni lavorative sono spesso poco promettenti ed il singolo individuo non può sempre operare serenamente.

Infatti secondo il rapporto Isfol del 2007, gli impieghi svolti sono sempre “meno conformi alle aspettative”, inoltre troppo spesso giungono dai telegiornali notizie riguardanti tragedie legate all’ambito lavorativo, per minime distrazioni o per disposizioni di sicurezza scarsamente o superficialmente garantite. Accade infatti che nei posti come cantieri o fabbriche, che presentano elevati rischi, non siano rispettate le norme che dovrebbero tutelare la salute del lavoratore.                                                                         

La responsabilità è da attribuirsi principalmente ai datori di lavoro, i quali si adoperano al meglio per ottimizzare l’ambiente lavorativo affinando i macchinari sotto l’aspetto tecnologico, ponendo in secondo piano la salute di chi poi le dovrà usare e trascurando quindi i controlli preventivi per rischi ed incidenti durante le ore lavorative.                                                                                                                                                     

Non viene neppure considerato che tale leggerezza, dovuta alla maggiore attenzione rivolta all’impiego dei migliori sistemi di produzione impiegati, spesso ha risvolti negativi anche dal punto di vista economico, in quanto l’eventuale infortunio può provocare un effettivo rallentamento produttivo, poiché tra i pericolosi e delicati macchinari i lavoratori agiscono in maniera più lenta ed attenta, non essendo sicuri di avere sempre abbastanza prudenza, come giustamente sottolineato da A. Berra, T. Prestipino, in “Lo studio del lavoro e la psicologia della sicurezza lavorativa”, 1988. Ciò non occorrerebbe se l’idea del pericolo in sé venisse eliminato: è questo infatti il fine delle norme indette riguardo alla sicurezza ed ai rischi nel lavoro.                                                                                                      

La legislazione impone l’obbligo di controlli specifici e frequenti ed è stato inserito anche il sistema dell’assicurazione, per il quale si garantisce il risarcimento corrisposto a chi ha subito dei danni e contemporaneamente si sottrae il datore di lavoro responsabile a eccessivi oneri in casi di gravi incidenti, rispetto al suo potenziale economico (G. Miraldi, Gli infortuni sul lavoro, e le malattie professionali, 1979).

Esiste oggigiorno un sistema legislativo davvero utile ed efficace nell’abbassare notevolmente la percentuale di morti per distrazioni sul posto di lavoro, le cui norme purtroppo non sono ancora sempre concretamente rispettate.

 

Introduzione: mutamento nel tempo del concetto di lavoro

 

 

 

 

 

 

 

Definizione di lavoro

 

 

introduzione del problema: la sicurezza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclusione.

Dal pdf sottostante potete cogliere spunti interessanti: fondamentale l'ultima pagina sui connettivi e su come introdurre le citazioni.

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Aggiungo un altro esempio di svolgimento, da scaricare e visionare.

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E ora a voi!


Saggio breve - Ambito socio – economico

Argomento: Il fenomeno del bullismo

1. Girato in un istituto tecnico di Torino il video con le violenze al ragazzo disabile

E' di Torino, ha 17 anni e non è down, ma soffre di una particolare forma di autismo: vede e sente pochissimo, quasi nulla. Ha un volto e un nome lo studente portatore di handicap aggredito e percosso dai suoi compagni di scuola, che poi hanno diffuso via internet le drammatiche immagini. Ma hanno anche un nome e un volto i responsabili dell'episodio: tre ragazzi e una ragazza di 16 e 17 anni che sono stati indagati oggi dalla Procura per i minorenni di Torino con l'accusa di violenza privata. […] L'aggressione risale a un periodo a cavallo tra i mesi di maggio e giugno, poco prima della conclusione dell'anno scolastico. Il video, della durata di tre minuti, è stato messo on line ad agosto dalla ragazza che aveva partecipato all'aggressione. Nel filmato si vedono una decina di compagni di classe che stanno a guardare, mentre uno dei ragazzi indagati sferra qualche pugno e qualche calcio al compagno disabile, un altro è intento a riprendere la scena con la telecamera, un terzo che disegna il simbolo "SS" sulla lavagna e fa il saluto fascista. E l'impressione è che l'aggressione fosse premeditata.
Il ragazzo aggredito rimane in un angolo, immobile, reagendo debolmente alle botte di un compagno che si avvicina, lo colpisce velocemente e si allontana. Al giovane disabile vengono anche tirati oggetti e per ripararsi lui perde gli occhiali e si china a cercarli affannosamente. Gran parte della classe intanto, seduta tra i banchi, schiamazza, tra l'annoiato e il divertito. Nessuno dei presenti si alza per difendere la vittima o per fermare chi lo deride.
La Repubblica,14 novembre 2006

 

2. Alunna accusata di bullismo, la madre picchia la preside

ROMA - Da qualcuno doveva pur avere preso. L'aggressività, in questo caso, l'ha succhiata col latte materno, una ragazzina di una scuola media di Civitavecchia, vicino a Roma, responsabile di numerosi episodi di bullismo ai danni dei suoi compagni di scuola, la media inferiore "Flavioni". A tal punto insopportabili erano diventati i suoi atteggiamenti, che la preside aveva convocato un incontro con ragazzi e genitori per decidere il da farsi. Risultato: pure la preside è stata malmenata, ma dalla madre della ragazza. Alla quale non sono andate giù le accuse, a sua detta infondate, rivolte alla figliola. […]La donna ha prima insultato pesantemente la preside, poi è passata alle vie di fatto prendendola a pugni in testa e sulle spalle. La dirigente scolastica, che pochi mesi fa aveva anche avuto seri problemi di salute, è stata accompagnata presso l'ospedale San Paolo, dove è rimasta sotto osservazione precauzionale dei medici.
La Repubblica, 13 febbraio 2007

 

3. Il termine bullismo è la traduzione italiana dall'inglese "bullying" ed è utilizzato per designare i comportamenti con i quali un singolo o un gruppo, ripetutamente, fa o dice cose per avere potere o dominare una persona o un altro gruppo. Il termine "bullying" include sia i comportamenti del "persecutore" sia quelli della "vittima" ponendo al centro dell'attenzione la relazione nel suo insieme.
L’individuo è portato a subire la pressione del gruppo, chi si rifiuta di accettare una proposta ha una varietà di atteggiamenti tra chi rimane sicuro di sé e chi diventa progressivamente incerto e disorientato ma, all’interno di queste dinamiche, è stato sperimentato che, quando una persona può contare su un appoggio anche minimo, il potere del gruppo diminuisce notevolmente. […] Il bullismo, può essere rilevato da alcune caratteristiche peculiari:

dall’intenzione di fare del male e dalla mancanza di compassione: il bullo prova piacere nel disturbare, insultare, picchiare o danneggiare nelle cose la "vittima" e continua anche quando è evidente che la vittima sta molto male ed è angosciata.
intensità e durata: il bullismo è diverso dai dispetti, dalle zuffe o dalle risse che normalmente avvengono nel cortile della scuola, continua per un lungo periodo di tempo e la quantità di prepotenze fa diminuire la stima di sé da parte della vittima.
potere del "bullo": il bullo ha maggior potere della vittima a causa dell'età, della forza, della grandezza o del genere (ad es. maschio più forte della femmina). Il bullo a volte riesce a esercitare il suo potere non solo perché è più grande o più forte, ma perché spesso altri bambini si alleano con lui per proteggere sé stessi.
vulnerabilità della vittima: la vittima è più sensibile degli altri coetanei alle prese in giro, non sa o non può difendersi adeguatamente e, come vedremo in seguito, non sempre ha delle caratteristiche fisiche o psicologiche che la rendano più incline alla vittimizzazione.
L’asimmetria delle forze rende sempre più probabile il ripetersi dell’aggressione e rende sempre meno pari i coetanei: ovvero il bullo diventa sempre più potente rispetto alla vittima.

Ricerca effettuata dal Dott. Fulvio Panizza, Specialista in criminologia clinica, 2007


4. Intervista alla psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris

ROMA - Anna Oliverio Ferraris, che cosa è cambiato rispetto il passato?
"Oggi c'è una sensibilità diversa, si è meno disposti ad accettare, ma è cambiato anche il fatto che un tempo a scuola questi episodi di violenza non si verificavano, nelle aule c'era più disciplina".
Si può dire che c'è più violenza di un tempo?
"No, sono cambiate le forme, oggi c'è il cyberbullismo, l'uso dei telefonini, la tecnologia, hanno l'effetto di amplificare gli episodi".
Che cosa c'è all'origine del bullismo?
"L'aggressività è dentro di noi, non è negativa, può portare anche ad atteggiamenti positivi, ad avere grinta, impegno, ma va educata, manca un'educazione ai sentimenti, i ragazzi vengono lasciati allo stato brado. Anche se vivono con tecnologie sofisticate, possono reagire seguendo leggi primitive, non bisogna mai dare nulla per scontato, non si pensa che ogni generazione deve fare un suo percorso".
La responsabilità maggiore è della famiglia?
"La famiglia in primo luogo, molti genitori si comportano come se i figli potessero educarsi da soli o davanti ad uno schermo televisivo. C'è da dire poi che i programmi televisivi sono scadenti ed è difficile trarne qualcosa di buono, ma anche vedere programmi edificanti non è sufficiente, perché i ragazzi sono concreti e imparano soprattutto se le cose li riguardano".
Chi è la vittima del bullo?
"Spesso il diverso, perché i ragazzi sono conformisti".
E chi diventa bullo?
"Si può diventare bulli per motivi diversi: perché si è fisicamente più forti degli altri, perché il padre ti incoraggia, se si è stati picchiati, o se si è frustrati, c'è una rabbia alla base del bullismo, a volte una perdita".
C'è qualche episodio di cronaca che l'ha colpita?
"Mi colpisce l'uso del telefonino, mi colpiscono le ragazze che fanno lo spogliarello in classe e si fanno riprendere, c'è molto narcisismo legato alla società dello spettacolo".
Quale può essere un antidoto al bullismo?
"Nel mio libro parlo della musica, usata in modo creativo fin da piccoli, credo nel potere dell'arte, depolarizza i ragazzi, accentra la loro attenzione su altri interessi, c'è anche da dire che a volte la scuola può essere molto noiosa".
La Repubblica, 10 gennaio 2007

PROPOSTA SAGGIO A CARATTERE ARGOMENTATIVO

Ambito socio-economico

 

 

Lo studio delle lingue classiche

 

Documenti

 

1

Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere (o apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se “istruttivo”, cioè ricco di nozioni concrete.

Nella scuola attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. L’aspetto più paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi.

La scuola tradizionale è stata oligarchica perché destinata alla nuova generazione dei gruppi dirigenti, destinata a sua volta a diventare dirigente: ma non era oligarchica per il modo del suo insegnamento. Non è l’acquisto di capacità direttive, non è la tendenza a formare uomini superiori che dà l’impronta sociale a un tipo di scuola. L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.

            A. Gramsci, Quaderni dal carcere, vol. III, Einaudi, Torino 1975

 

2

Il latino lingua ufficiale nel mondo in un futuro non tanto lontano. Un sogno? Non per l’Osservatore Romano, che rilancia l’idea e parla del latino come lingua ideale se si vuole rispondere all’esigenza di individuare un “idoneo strumento di comunicazione internazionale”, posta in generale dal processo di globalizzazione e in particolare dalla realtà dell’Unione Europea i cui paesi hanno ininterrottamente usato il latino per circa venti secoli. Proprio il motto ufficiale dell’Europa anche oggi suona nella stessa lingua – “In varietate concordia” – come del resto quello degli Stati Uniti, “E pluribus unum”.

Oggi, scrive Mario Gabriele Giordano sul quotidiano della Santa Sede, “la questione del latino” viene riproposta con forza. E dà il via a un dibattito, non solo ferragostano. Nell’articolo si sottolinea infatti che se è vero che in un recente passato – gli Anni Sessanta e Settanta – si eliminò il latino dai programmi della scuola dell’obbligo «con decisioni assunte non certo per improponibili ragioni culturali o didattiche ma per ragioni ideologiche o, più impropriamente, demagogiche», è altrettanto vero che in Europa e nel mondo, il latino veniva invece fatto oggetto di una crescente attenzione attraverso concrete iniziative di studio e di diffusione.

In Finlandia, per esempio, circa dieci anni fa veniva addirittura creata una radio, “Nuntii Latini”, che tuttora trasmette aggiornati notiziari redatti nella lingua di Cicerone. L’Osservatore Romano sottolinea inoltre come in Italia lo studio del latino fu bollato come residuo di una concezione elitaria della scuola e come elemento di discriminazione sociale all’interno del processo educativo. E questo «palese pregiudizio maturato nel particolare clima politico del tempo» venne tra l’altro a sacrificare – scrive Giordano – la funzione strumentale dello studio del latino «quale occasione di riflessione sulla natura e la dinamica della struttura linguistica in generale, con la ben nota conseguenza di una diffusa e persistente ignoranza nell’uso scritto dell’italiano».

Oggi comunque in Italia, per quanto immutato resti il quadro scolastico, questa lingua e ciò che essa significa in fatto di cultura e di civiltà «non rappresentano più da qualche tempo quel tabù che per lunghi decenni avevano anacronisticamente rappresentato». Tanto è vero, sostiene l’Osservatore, che servizi giornalistici, trasmissioni radiofoniche e televisive, forum, convegni, riviste specializzate soprattutto on line pongono con sempre maggiore frequenza la questione del latino.

È per questo che, sostiene il giornale del Vaticano, «ancora oggi il latino è tutt’altro che morto, e non solo in quanto lingua ufficiale della Chiesa Cattolica, strumento internazionale delle classificazioni scientifiche o fonte di etimi, calchi, suffissi e prefissi per le più diverse esigenze espressive». «È tutt’altro che morto – aggiunge – soprattutto perché presente, oltre che come attivo riflesso di civiltà, come vasta e dinamica componente lessicale, non solo nelle lingue neolatine, ma anche in tutte le altre e principalmente in quella inglese, tanto che gli studiosi parlano sempre più di anglolatinismo».

            Il latino torni lingua mondiale, in “La Stampa”, 13 agosto 2006

 

3

Pur non appartenendo alla schiera degli atei devoti che si entusiasmano a ogni sortita dei preti, vorrei appoggiare una battaglia davvero moderna della Santa Sede: lo studio del greco e del latino. È stato il Pontificio comitato di scienze storiche, nel silenzio imbarazzante dei governi “laici”, a lanciare l’allarme. I giovani europei conoscono sempre peggio le lingue morte, eppure questo non li ha resi affatto più vivi. Una colossale idiozia propalata dal luogo comune è che Pindaro e Virgilio non servano a nulla. Come dire che la cyclette è inutile perché al termine dello sforzo non ti sei mosso di un millimetro. Ora, è evidente che in nessun colloquio di lavoro ti chiederanno il quinto canto dell’Eneide (magari nemmeno per diventare insegnanti di latino) e che nessuna ragazza pretenderà di essere corteggiata con i versi dei lirici greci, per quanto più struggenti di tante frasette che si trovano nei cioccolatini. Dal punto di vista di un’utilità immediata, quindi, Pindaro e Virgilio non producono risultati. Però allenano a pensare. Attività fastidiosa e pesante. Ma ancora utile. Anche per trovare lavoro o una ragazza.

Latino e greco sono codici a chiave, che si aprono soltanto con il ragionamento e un’organizzazione strutturata del pensiero. Insegnano a chiedersi il perché delle cose. Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila una tecnica che potrà applicare a qualunque ramo del sapere e della vita. Non è un caso se i migliori studenti delle facoltà scientifiche provengono dal liceo classico. Un tempo queste considerazioni abbastanza ovvie venivano fatte dai genitori, per convincere gli adolescenti riottosi a cogliere la vitalità latente di una lingua morta. Adesso si preferisce tacere, forse per rispettare il diritto dello studente a rovinarsi il futuro con le proprie mani.

            M. Gramellini, Il latino e la cyclette, in “La Stampa”, 31 ottobre 2006

 

4

Il futuro di una nazione dipende dalla qualità delle sue scuole. Non se ne parla molto nei giornali, ma oggi è in corso una battaglia silenziosa a proposito della scuola italiana del futuro, in cui uno dei probabili perdenti sarà il latino. Io ho fatto gli studi secondari al liceo classico perché quello scientifico, che allora era da poco iniziato, non dava ancora molto affidamento. Vi imperava il latino: per otto anni ho dovuto dedicargli anch’io molte ore della settimana. Non l’ho mai amato; mi sono state imposte opere letterarie noiose, di scarsa importanza artistica o storica, invece di altre molto più stimolanti. La sintassi è veramente difficile, e non sempre ben spiegata. Perciò durante quasi tutta la vita ho considerato un handicap di essere stato costretto a studiare tanto latino invece che matematica e fisica, materie su cui ho dovuto faticare più tardi quando mi sono accorto di quanto fossero importanti. […]

Torno al latino. Mi sono reso conto, con qualche ritardo, che la mia reazione di antipatia era sbagliata, dovuta in parte all’amarezza per il mancato insegnamento a un buon livello della matematica e della fisica. Ho avuto nel corso della mia vita anche qualche occasione di fare professionalmente uso delle conoscenze di lingua latina, ma soprattutto ho capito che se ho imparato veramente a ragionare e risolvere problemi difficili nel corso del ginnasio e liceo è stato grazie all’esperienza di traduzione dal latino.

La traduzione in genere è ancora un’arte molto difficile. Con tutta la ricerca sull’intelligenza artificiale che si fa nel mondo dell’informatica, il problema della traduzione in calcolatore è ancora lungi dall’essere risolto soddisfacentemente. Posso dire che, fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è stata l’attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto. Proprio questo è l’importante: esercitarsi nel procedimento logico-induttivo che è necessario in qualunque ricerca, quel che gli inglesi chiamano l’inferenza scientifica. Il processo di base è lo stesso in tutto il sapere.

            L. Cavalli Sforza, Studiando, studiando, in “la Repubblica”, 27 novembre 1993

 

5

A che serve studiare il latino? Non sarebbe meglio, eventualmente, studiare altre lingue moderne, come il cinese? Andrea Rocchetto, 15 anni, da Roma, sa (o gli è stato spiegato) che la questione, posta a un giornale italiano, sarebbe stata liquidata con la mera pubblicazione della missiva, senza troppi complimenti, in quanto si tratta di materia mille volte affrontata e dibattuta. Il giovane studente romano ha quindi compiuto una eccezionale operazione mediatica, scegliendo come ribalta la rubrica “dear economist” del Financial Times, che ieri ha pubblicato la lettera con relativa risposta affidata a Tim Harford.

Ovviamente Andrea ha enfatizzato un po’ le cose: «Nelle scuole italiane – ha infatti scritto – lo studio del latino è richiesto con una priorità che non viene accordata neppure all’inglese», solleticando così l’amor patrio dell’intestatario. «Potremmo studiare il cinese – argomenta poi lo studente – che aumenterebbe le nostre capacità logiche e ci aiuterebbe a ottenere qualcosa in futuro».

Ci sono delle inesattezze lampanti nella denuncia di Andrea: infatti a studiare il latino nella scuola italiana sono meno di uno studente su quattro e solo nelle superiori, mentre l’inglese è obbligatorio per tutti fin dalla prima elementare. Inoltre il 40 per cento degli iscritti a una scuola secondaria di secondo grado opta per gli istituti tecnici, dove del latino non c’è traccia. E dunque, semmai, la lingua di Cicerone è ormai residuale nella scuola italiana, rispetto a un tempo.

Ma, evidentemente, Andrea ha un problema con il latino e ci sarebbe da chiedergli chi gliel’abbia fatto fare a scegliere un indirizzo di studi che preveda questa “inutile” materia. Ma tant’è.

Il giornalista del Financial Times, invece, non ha preso la lettera come lo sfogo, pur argomentato, di un ragazzo. «Anche nei più eleganti contesti sociali – scrive – il latino è sempre meno sfoggio di erudizione e sempre più una dimostrazione di una gioventù sprecata, come sapere a memoria troppi sketch dei Monty Python». Il cinese, invece, «sarebbe altrettanto efficace come esercizio mentale e offre il vantaggio supplementare che consente almeno di parlare con qualcuno che non sia il Papa».

Il giornale inglese avanza poi una tesi singolare. Secondo il Financial Times non ci si dovrebbe stupire se in Italia si continua a studiare il latino: in un Paese in mano ai sindacati (com’è noto) è logico che una lobby di insegnanti (di latino) «con molto da guadagnare da una certa politica, tenda ad avere la meglio su un vasto gruppo che da perdere ha poco».

In definitiva – suggerisce il giornalista ad Andrea – «chiediti “cui bono”», vale a dire «a chi giova?». La risposta è scontata: a quattro professori anacronistici, ai cui interessi sarebbero sacrificati «milioni di studenti costretti a subire».

Per la cronaca: su 2,6 milioni di studenti delle scuole superiori, il latino, in Italia, lo studiano meno di 700 mila.

            R. Masci, Studi il latino? Tempo sprecato, in “La Stampa”, 7 gennaio 2007, con alcuni adattamenti